martedì 22 settembre 2009

Il Lodo Alfano? Capiamoci di più.

Facciamo chiarezza su questo disegno di legge che tanto sta facendo (GIUSTAMENTE) discutere l'Italia.


Angelino Alfano e Silvio Berlusconi

Il lodo Alfano garantisce l’immunità alle quattro alte cariche dello stato:

- il Presidente della Repubblica,
- il Presidente del Senato,
- il Presidente della Camera dei Deputati,
- il Presidente del Consiglio dei Ministri.


Finchè restano al loro posto (o cambiano poltrona). Qualsiasi delitto dovessero commettere, non sarebbero perseguibili fino alla fine della legislatura. Sono compresi anche i delitti comuni e quelli svincolati dall’attività politica, oltre a quelli per cui c’è un processo in corso già da prima del loro mandato.

In poche parole non si potrebbe procedere nemmeno nel caso strangolassero la moglie, molestassero la segretaria o, più verosimilmente, corrompessero un testimone perché possa mentire sotto giuramento in tribunale facendo assolvere un colpevole.

Non si tratta però di un’idea nuova. Qualcosa di molto simile era già stato tentato nel 2004, col lodo Schifani, bocciato dalla Consulta perché incostituzionale. Ma quali erano le differenze con l’attuale lodo Alfano?

Quasi nessuna, tranne che per il numero delle alte cariche coinvolte e per l’irrinunciabilità della sospensione.
Nel lodo Schifani le alte cariche erano cinque: oltre ai presidenti di camera e senato, il presidente del consiglio e della Repubblica, avevano inserito anche il presidente della Corte Costituzionale. Peccato che alla fine è stata quella stessa Corte a bocciare il lodo Schifani decretandolo incostituzionale.

La questione dell’irrinunciabilità invece è davvero curiosa: se un’alta carica dello stato avesse rinunciato alla sospensione (cioè all’immunità), avrebbe dovuto rinunciare anche alla propria carica. Cioè, per farsi processare subito avrebbe dovuto dimettersi.
Nel lodo Alfano invece il presidente della Consulta sparisce dalla cerchia degli impunibili e prendono vita i fantastici quattro, supereroi in difesa dei cittadini e della stabilità dello Stato.
Viene sistemata anche la questione dell’irrinunciabilità, considerata forse alla base dell’incostituzionalità del precedente lodo: se l’alta carica lo desidera, può rinunciare alla sospensione e farsi processare senza interrompere il proprio mandato. Cosa che senza ombra di dubbio farà Berlusconi. Lo ha detto lui stesso e, a meno di qualche smentita…

Invece in tv e sui giornali se ne sono dette di tutti colori. Alcune affermazioni si sono rilevate del tutto inesatte. Per esempio il fatto che trattandosi solo di una sospensione, la vittima non verrà danneggiata affatto; basterà che aspetti e potrà avere giustizia in seguito. È una cosa non vera, dal momento che la stessa corte costituzionale, per il lodo Schifani del 2004 aveva ritenuto “che una stasi del processo per un tempo indefinito vulnerasse il diritto di azione e di difesa e che la possibilità di reiterare sospensioni ledesse il bene costituzionale dell’efficienza del processo”.
Il principio della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma) sancito dalla costituzione, andrebbe a farsi benedire e la vittima aspetterebbe una giustizia che non arriva, mentre il reo continuerebbe ad amministrare il paese.

Forse non bisogna essere proprio dei giuristi per capire che questo lodo stride vivacemente con l’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali…”.
Le alte cariche dello stato non saranno uguali davanti alla legge proprio in virtù della propria condizione sociale.
Nel contempo le vittime collegate ai loro reati non sarebbero per nulla uguali alle altre vittime, perché la loro possibilità di avere giustizia verrebbe rimandata di anni. Il che, vista l’attuale durata dei processi in generale, non è proprio una bella cosa.
Qualcuno invece ha detto che anche in molte altre democrazie è prevista l’immunità per le alte cariche o per il premier. Anche questo è falso.
La sospensione dei processi vale solo per tre capi di Stato: Grecia, Israele e Portogallo. Attenzione: Capi di Stato, non presidenti del Consiglio, che invece non hanno alcuna protezione particolare in nessuna delle democrazie occidentali.

Ovviamente per i reati funzionali, legati cioè alla carica rivestita, la protezione - in Italia come altrove - c’è dall’inizio della democrazia. È per i delitti comuni che non c’è nulla, perché probabilmente nel lontano 1947 i costituenti pensavano che l’interessato, beccato a corrompere un giudice, si sarebbe dimesso immediatamente, coperto di vergogna. Come avrebbero potuto immaginare che da lì a cinquanta anni, l’unico rossore nella faccia dei politici sarebbe stato solo quello del trucco televisivo?

Oggi, se il premier, nel corso della legislatura, lasciasse il governo assumendo un’altra carica tra le 4 intoccabili, per esempio quella di presidente della Repubblica, si conserverebbe “immune” per altri sette anni.
Si dirà: ma con tutte le ombre dei processi in corso e delle prescrizioni, come farà mai a fare questo salto? Mai mettere limiti alla provvidenza. Cuffaro si è dimesso da presidente della regione Sicilia perché condannato per favoreggiamento ad alcuni mafiosi ed è stato eletto addirittura al Senato (come non ricordare i manifesti elettorali dell’Udc: “Premiare chi merita”).

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