domenica 25 aprile 2010

Departures

Tempo di recensioni, forse da intellettuale snob, per giunta. D'altro canto questo blog era nato per questo, originariamente, per fare uno spocchioso sfoggio della mia cultura, ergo ogni tanto mi tocca. Ieri sera ho avuto l'occasione di andare in un cinemino (perchè sfortunamente a Roma il film si trovava in 4 salette contate) con degli amici a vedere qualcosa di nuovo sotto i miei occhi, ancora parecchio ignoranti per quanto riguarda il cinema dell'Oriente, radicalmente diverso rispetto ai modelli occidentali. Daigo Kobayashi è un uomo giovane e inizialmente molto impacciato che ha faticosamente trovato un lavoro come violoncellista in un'orchestra di musica classica di Tokyo. Dopo un 'insolito incipit del film (che consiste in un flashforward della vita del protagonista) si assiste ad un concerto di musica classica, molto impressionante dato che mischia in modo molto particolare la disciplina ferrea del popolo nipponico e una sonorità occidentale al 100% (il "brano" scelto dal regista è stato non casualmente l'inno alla Gioia di Beethoven) alla fine di questo però, data la scarsa affluenza ai concerti il finanziatore decide di sciogliere l'orchestra e il protagonista si trova col proverbiale culo per terra. Perso il lavoro decide di vendere il costosissimo violoncello che non poteva più mantenere e dopo questo simbolico atto con cui dice una sorta di addio alla musica decide, dopo averne parlato con la moglie, una donna obbediente e innamorata del marito, di cambiare la propria vita, ed è così che inizia a cercare un lavoro nuovo dopo essersi trasferito dalla tentacolare Tokyo al piccolo paese natio. Gli capita un inserto di giornale che parla di quella che sembra un'agenzia di viaggi, quindi si reca sul posto per capire di cosa si tratta. Ed è un equivoco. L'agenzia di viaggi è l'Agenzia del Viaggio per eccellenza ovvero la morte. Anche se esita, Daigo accetta il lavoro di "assistente" del capo, un abilissimo tanatoesteta (imbalsamatore, se il termine usato prima non è facilmente masticabile) e dopo degli iniziali problemi per niente trascurabili come attacchi di nausea e una paura del macabro davanti ai primi cadaveri da decorare il protagonista viene affascinato dal nuovo lavoro, perché riesce, osservando il proprio capo, a comprendere la paradossale dolcezza dell' occuparsi di un corpo morto, dato che gli si dà l'opportunità di raggiungere un ipotetico altro mondo in modo dignitoso e somigliante in tutto e per tutto alla parte migliore della vita precedentemente vissuta. Ma esclusivamente assistendo di persona a questa delicata arte la si riesce a comprendere, tanto che Daigo, quando gira la voce che è divenuto un tanatoesteta viene trattato come un emarginato dagli altri, persino dagli amici e dalla moglie stessa, che ormai esausta dei sacrifici fatti per il proprio uomo decide di abbandonarlo finché non avrà lasciato l'impiego. Ma non solo, il suo lavoro a volte è criticato aspramente, è violentemente attaccato e considerato indegno e disgustoso. La vita del protagonista è anche accompagnata da un feroce odio verso il padre, un uomo colto che quando il figlio aveva 6 anni è fuggito di casa con la cameriera del suo locale lasciando moglie e figlio da soli. Il ritorno al proprio paese consentirà a Kobayashi di affrontare anche questo episodio della propria vita, seppure con grandi esitazioni.
Fingendomi un recensore capace posso dare molte interpretazioni a questo film dopo aver riflettuto. A voi la decisione di considerarle perle di saggezza o pirlate di beceritudine.
Tokyo rappresenta nel film una sorta di cancello verso il mondo esterno, lo dimostra la forte occidentalizzazione della vita lì rappresentata, soprattutto nel concerto iniziale; il licenziamento del protagonista simboleggia quasi un respingimento di questo perchè il suo posto non è nel mondo esterno, ma deve ritrovare le sue radici (rappresentate dal paese natio) e tornarci a vivere, perchè quello il suo luogo giusto. Spesso quello che si nota nel film è una constatazione che può essere riassunta nel seguente messaggio "la morte apre gli occhi". Questo perchè spesso alle cerimonie della "decorazione" dei defunti si vedono furiosi litigi, parole cattive anche verso il povero defunto, ma c'è un punto in cui tale ostilità tace, ed è il momento che va dalla fine della "cosmesi" alla chiusura della bara: in quei momenti gli astanti lasciano il posto al cordoglio, c'è chi tace e c'è chi piange, ma specialmente ci si rende conto che si deve dire addio al morto.
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